| di Franca Di Muzio |
A come Antefatto
Frattura f3 iii dito piede sx. Tre settimane di riposo funzionale e mobilità con tutore, sentenzia il referto del Pronto Soccorso. Lo infili sospirando in borsa e ti appressi a saltelli verso l’uscita, mentre l’infermiere che ti sorregge prova a consolarti: Vedrai che tra decina di giorni il dito torna a posto e te la potrai togliere da sola, la fasciatura! Sai quante fratture ho visto così? Hai voglia, poi, a camminare!
Lo lasci parlare, troppo presa a rimproverarti: Come hai potuto essere così stupida? Ci dovevi proprio andare, in quel bagnetto di reparto, al termine dell’ennesima seduta di logopedia?
Gli esercizi ti avevano fatta sudare, e fuori ti aspettavano i soliti trenta-trentacinque gradi: meglio fare un pit stop, darti una rinfrescata al volo in quel cubicolo così minuscolo che non sapevi dove, dove appoggiare il tuo thermos d’acciaio da un litro pieno d’acqua?
Magari in quell’angolo, in equilibrio precario tra la parete e il bordo del lavandino: ecco, pare che così si regge... pare, ma mentre sei in bilico sulla tazza quel maledetto inizia ad oscillare e precipita a piombo sul tuo piede lasciato scoperto dal sandalo.
Molli all’istante la presa sul rotolo di carta igienica e avvicini la mano sull’estremità dolorante, la scaldi, la consoli, dai che non è niente; speriamo non ci sia niente di rotto, sennò addio Cammino!, preghi mentre arranchi sulla linea colorata che dall’ambulatorio di Logopedia ti guida verso il Pronto Soccorso; ma quanto ci vuole? Pare che non arrivi mai...
Non è questa la segnaletica che vorresti seguire, non sono questi i passi per i quali ti sei preparata negli ultimi mesi.
E adesso che faccio?, pensi spulciando le babeliche clausole di cancellazione e modifica prenotazione di Ryanair. Posticipare il Cammino da luglio ad agosto, oppure rimandarlo all’estate prossima, a tempi migliori?
Ma quali, quali tempi migliori!, se è quasi un anno che ti arrabatti in ansie sanitarie: oggi siamo vivi, domani chissà... sbrigati a modificare la tua prenotazione, prima che i costi dei voli lievitino ulteriormente!
Ma, e se poi sotto sforzo la microfrattura si scompone? Il medico del Pronto Soccorso ha detto che il rischio c’è: e sempre 114 km devi farti, a piedi.
Entro oggi deciderai se arrenderti al destino cinico e baro che, oltre che senza voce (ma questa è un’altra storia), adesso ti vuole pure incidentata, oppure reagire e sfidarlo: io a Santiago ci vado lo stesso, e succeda quel che succeda.
Esci di casa con cautele da astronauta, facendo leva alternativamente sul piede sano e sul tallone di quello incrinato, adesso protetto dal tutore che sembra quasi sprofondare nell’asfalto bollente. In fondo alla strada, nella calura ondulata del mezzodì, intravedi avvicinarsi lei, la tua storica migliore amica: la protagonista del tuo racconto Alzati e Cammina, che da decenni se ne va a ruota libera per le vie del mondo.
Lei sulla sua sedia a rotelle motorizzata ultimo modello, tu azzoppata: due donne “in gamba” (ha!), due amiche storiche uscite per fare la spesa e incontratesi per caso in una delle piazze del quartiere. A vedervi da fuori, sembra tutto normale; ma niente è normale in questa scena, a parte la sua preoccupazione e la tua disperazione, che finora non ha ancora trovato sfogo.
Ma tu guarda che coincidenza. Proprio lei dovevi incontrare adesso, lei che sa cosa vuol dire non poter camminare; però la sua situazione è permanente, la tua temporanea, non hai il diritto di lamentarti. Cerchi dunque di farle un resoconto ad alto tasso autoironico della tua disavventura, ma le lacrime ti spuntano lo stesso dietro gli occhiali da sole; lei le vede e con voce dolce ti dice:
– Al Cammino non rinunciare.
Rientri a casa, appoggi la spesa ben salda sul tavolo (mai, mai più pesi in bilico sull’orlo dei mobili!), sprofondi sul divano, apri Twitter e il primo post che ti appare è quello di una viaggiatrice canadese che, guarda caso!, si è appena immortalata in un selfie nella piazza di Santiago, beata lei... continui a scorrere la tua TL, e un altro post di sole parole ti colpisce:
DO WHAT YOU NEED TO DO TO HEAL.
Fai ciò di cui hai bisogno per guarire. E tu per guarire, piede, voce e anima, quello hai bisogno di fare: andare a Santiago.
Tre coincidenze a distanza di pochi minuti, non può essere un caso.
Fai qualche vocalizzo per schiarirti quel brandello di voce che ti resta, digiti il numero e ti prepari a quella che per la maggior parte delle persone è un’azione scontata, ma che per te è diventata un’impresa fantozziana: la Telefonata.
Radiotaxi Pescara al vostro servizio, mi dica.
…PrOntO...?
...Pronto, Radiotaxi Pescara, mi dica!
PrOntO, avrEi bisOGNO di PREnotare un TAxi per DOPOdomANI!
Può ripetere per favore? Non la sento bene.
Ho bisOgnO di prEnotAre un TAxi per dOPodOmANI!
Ha detto per dopodomani?
SSSì!
Località?
PescArA!
Pescara. Quartiere?
SAn DoNAtO!
San Donato, destinazione?
StAziOne degli autOBuS!
Stazione, e a che ora?
QUATtro e mEzza del matTInO!
Quattro e mezza, ha detto? Ah, allora non si preoccupi, a quell’ora non c’è mai nessuno! Può chiamarmi direttamente dopodomani un quarto d’ora prima, e sono da lei.
S-sicUro?
Tranquilla, signò.
Due giorni dopo però, richiamandolo con una buona mezzora di anticipo, non ti senti proprio tranquilla. Radiotaxi squilla ripetutamente a vuoto. Riprovi: può darsi che il tipo si sia assopito, a quell’ora... riprovi. Niente. Venticinque minuti alla partenza del tuo autobus. Riprovi. Squilli su squilli a vuoto. Delle due, l’una: o dorme beato, o è impegnato a trasportare altri, disgraziato bugiardo di un tassista.
Riprovi.
Risquilli.
Radiotaxi al vostro servizio, restate in linea.
Manca un quarto d’ora: se non vuoi perdere l’autobus per Bologna ti tocca prendere la tua, di macchina.
Eh ma poi che fai, la lasci per due settimane là fuori, in stazione?
Sfrecci tra semafori lampeggianti, parcheggi a casaccio la tua Tina e, correndo quanto te lo consentono il piede redivivo, ben ammortizzato da costosa scarpa tecnica, lo zaino (8 kg e mezzo, solo mezzo chilo in più rispetto a quanto raccomandato dal tuo Pellegrino Consigliere) e il canguresco marsupio che ti ballonzolano su schiena e pancia, raggiungi appena in tempo il gruppetto assonnato che sta salendo a bordo del Flixbus; ce l’hai fatta, uffffff.
Tranquilla, signò.
Destinazione Bologna, città che ti vide spiccare il volo venticinque anni prima: il decollo della tua carriera da copywriter, segnato dalla tua prima esperienza di lavoro fuori regione, fuori dalla tua zona di comfort e dentro tutto ciò che avevi sempre sognato di fare.
Adesso come allora non ci credi, non ti pare vero di essere partita; e ti pare di buon auspicio, farlo proprio da BO, con un giorno d’anticipo rispetto alla data del volo per Santiago: tuo nipote M., infatti, ti ha lasciato le chiavi di casa sua così da poter partire l’indomani all’alba per l’aeroporto Marconi, con tutta calma e per tempo.
Come alla vigilia di un esame importante, hai studiato tutto nei minimi particolari, ma adesso che ci sei quasi ti pare di non ricordare più niente: tratte, cambi, orari, e non riesci a rilassarti, a dormire almeno un po’ sulle sedute ovattate del Flixbus. Continui a consultare lo schemino che ti sei preparata con settimane d’anticipo, l’importante è fare un passo alla volta, e ora la tua prossima tappa è arrivare a casa di M. dalla stazione Bologna San Vitale. Facile, no?
Una cosa però, una piccola, grande, euforizzante cosa sei già riuscita a farla. Vorresti gridarlo a tutti i passeggeri addormentati e destinati chissà dove, che sei partita nonostante tutto, sei in viaggio!
Ma più tardi, ce la farai a trovare la strada di casa di M.? e domani, a trovare la fermata dell’autobus per l’aeroporto, e poi il banco del check in, e poi il gate giusto, e, e, e...?
Ce la farai, ad affrontare ciò che hai evitato di fare per cinque anni: viaggiare sul serio, viaggiare al punto di volare, approdare in un paese straniero, farti capire in un’altra lingua con la tua voce menomata, camminare da sola per giorni e giorni tra i boschi, in posti sconosciuti senza perderti, ma anzi (magari!) ritrovandoti?
Interrogativi che punteggeranno l’intera giornata e una notte insonne, ma meglio così: arrivando ben cotta a bordo potrai dormire tutto il tempo, e addio paura di volare.
Esci da casa di M. che è ancora notte, con venticinque minuti d’anticipo rispetto all’orario previsto per il passaggio dell’autobus per l’aeroporto. Sai, per averla controllata più volte, dov’è la fermata, perciò è con euforica sicurezza che ti incammini in quella che sei convinta sia la direzione giusta.
Fatti però una ventina, trentina, quarantina di passi, ti accorgi di botto di non riconoscere più i dintorni; la fermata è sparita, puffff!, volatilizzata – come il volo che rischi di perdere, se non la ritroverai.
Sarà più avanti, allora... continui imperterrita a camminare a passi ovattati nelle tue scarpe tecniche, ottimo acquisto! Ti danno lo sprint giusto, ti danno sicurezza: Se non ti senti sicura, fai come se lo fossi! E comunque, la fermata era qui, deve essere qui, ieri era qui! Cioè... lì!
Franca svegliati, apri gli occhi e collega il cervello, fai altri dieci passi, venti, trenta, quaranta, e girato l’angolo la ritroverai... n-no, qua c’è un crocevia, e dall’altro lato della strada le insegne ancora spente di farmacia-bar-lavanderia, ma la fermata dell’autobus proprio no.
Vabbè, avresti voluto evitare ma adesso è proprio ora di Google Maps: hai ancora dieci minuti di tempo, calma Franca, calma!, è normale, tutta l’ansia e l’agitazione dei giorni e dei mesi precedenti e la mancanza di sonno ti stanno presentando il conto ma tu non farti fregare: tu la fermata la puoi ritrovare, la devi ritrovare e la ritroverai, a patto di mantenere la Calma.
Tranquilla, signò.
Dietrofront, verso casa di tuo nipote. Dove ho sbagliato? Era questa, la strada! O quell’altra? Ne imbocchi una a caso e inizi a sudare, mentre la voce registrata di Maps continua metallica a scandire direzioni e nomi di vie che non combaciano con quelle che incontri sul tuo cammino; eppure quella lì sei tu, sei tu quel puntino blu sullo schermo del tuo smartphone, che si sposta disorientato e lento in una direzione che non è, non è il punto esclamativo rosso della fermata, ma sei idiota allora!, la vedi o no, la cavolo di fermata, hai capito o no che per andare dove devi andare, dove devi andare?
...e nessuno in giro a cui chiedere, figurati, alle cinque di un mattino d’agosto, e ti fermi in mezzo alla strada e zittisci Google Maps e guardi il cielo nero e le luci al neon dei lampioni e ascolti l’afa addormentata del quartiere San Vitale, addio Cammino: perderai il volo, non riuscirai ad andare a Santiago, il tuo viaggio finisce prima di cominciare, qui a BO... eh no cazzo, non puoi rinunciare proprio adesso!
Strizzi gli occhi e guardi l’orologio, tre minuti al passaggio dell’autobus, gli autobus che a BO sono sempre puntualissimi, figurati a quell’ora vuota!, e corri corri all’impazzata e all’indietro, zaino e marsupio danzanti sul corpo, corri verso casa di tuo nipote per la miliardesima volta, ma stavolta ti metti con la schiena rivolta al portone e fai uno-due-tre-quattro-cinque-sei passi nella direzione opposta a quella che hai preso uscendo venticinque minuti prima: e finalmente la vedi, seminascosta tra le fronde, la pensilina del bus 14, illuminata come un albero di Natale, e corricorricorri, giusto in tempo per alzare una mano verso il conducente e salire a bordo, al volo l’hai preso: devi volare Franca, è destino che volerai, tra poco volerai per davvero; morirai di paura, ma volerai.
Eh già, perché sono cinque anni che eviti di prendere un aereo: è ora di affrontare le tue paure, entrare nel ventre di quel carapace lucente e metallico come quello degli insetti che da piccola appoggiavi sui vetrini per poi esaminarli al microscopio: mai giocattolo ti fu tanto gradito, un giocattolo da grandi, osservare strane forme altrimenti invisibili agitarsi sotto il tuo sguardo, forme che mai avresti pensato un insetto potesse contenere; allo stesso modo, forse tra poco Qualcuno ti osserverà dall’alto, infinitesimale forma di vita, microbiotica tra microbi, stretta al tuo bagaglio a mano come se da esso dipendesse la tua sopravvivenza, atterrita ma in apparenza sicura di te, immersa in una muta, ininterrotta preghiera ai tuoi: Statemi vicino, aiutatemi a farcela, a sopportare queste due ore e cinquanta di volo, a trovare o meglio ritrovare la mia strada.
Già ti sembra di volare, sospesa sul binario unico della navetta che in pochi minuti ti porterà a destinazione; tra un’ora e mezza quelle vibrazioni le ritroverai centuplicate in aereo, e allora non ti converrà, nonono!, guardare fuori, guardare di sotto come stai facendo adesso, sorvolando la città che si sveglia.
Il signore seduto nella fila davanti a te ansima, Voglio scendere!, Mi sento male!, ma l’Airbus è già da tempo nell’alto dei cieli, tutte le cinture allacciate, tutte le spie di turbolenze in agguato accese; sua moglie, insieme agli assistenti di volo, cerca invano di rassicurarlo. In un impeto di compassione e solidarietà ti sporgi in avanti, tendendogli il pacchetto delle tue Ricola senza zucchero; la moglie per poco non ti manda a quel paese.
Ti cacci tu una Ricola in bocca, la succhi forte: regredita alla fase orale come un neonato in cerca di conforto, hai già consumato metà confezione; però ha funzionato come strategia, insieme ai cruciverba della Settimana Enigmistica compilati compulsivamente per non pensare, per distrarti dalle manovre pre-decollo, dal terrore del vuoto. Sei stranamente calma, in questo momento la paura degli altri non ti contagia ma ti rassicura: non sei sola sotto questo cielo, altri umani soffrono e cercano di resistere, sopravvivere e andare avanti nel proprio Cammino, proprio come te.
Tranquilla, signò.
L’autrice
Franca Di Muzio. Lettrice precoce e onnivora, già copywriter e pubblicista, ora insegnante di sostegno. Ha pubblicato racconti in antologie e su riviste e il libro Lo scopriremo solo scrivendo. Il suo sito: www.copydimare.com.